Il sistema previdenziale italiano è alquanto complesso. Non tutti i lavoratori sono infatti soggetti alle stesse regole previdenziali. Ogni tipologia di attività lavorativa è seguita, per quanto riguarda il sistema pensionistico, da una diversa istituzione e, spesso, le stesse regole relative alla contribuzione e al calcolo delle pensioni cambiano profondamente da un tipo di lavoratore all’altro.
La prima distinzione fondamentale è quella fra lavoro dipendente e lavoro indipendente.
Nel lavoro dipendente si distingue fra quello privato, la cui previdenza è gestita dall’Inps, e quello pubblico, la cui previdenza era gestita dall’Inpdap fino al 2011. Il decreto Salva Italia varato dal governo Monti, infatti, ha dato compimento a un processo di convergenza dell’Inpdap (e dell’Enpals, che curava la previdenza dei lavoratori dello spettacolo) verso l’Inps, portando la gestione della previdenza dei lavoratori dipendenti presso un unico ente.
Nel mondo del lavoro indipendente la previdenza di artigiani, commercianti, coltivatori diretti e collaboratori è di nuovo gestita dall’Inps, nella gestione speciale per i lavoratori autonomi. Sempre nell’Inps, in una gestione separata, viene amministrata la previdenza dei collaboratori, dei lavoratori a progetto, degli amministratori e sindaci di società.
Infine, per i liberi professionisti esiste una serie di Casse previdenziali privatizzate, distinte per tipologia di professione.
Per quanto le regole pensionistiche seguono schemi simili nelle diverse categorie di lavoratori, permangono delle differenze, più o meno marginali.
In genere i sistemi di previdenza pubblica funzionano con il meccanismo della ripartizione.
Chi oggi lavora versa dei contributi all’ente di previdenza. Queste somme non vengono conservate, ma sono utilizzate per pagare le pensioni di chi in quel momento non lavora più. In altre parole, l’ente di previdenza in prima istanza non investe o accumula risorse, ma le trasferisce in forma di pensioni.
In alcuni casi è possibile comunque che vi siano risorse in eccesso che possono essere investite o accumulate. È questo infatti il caso di molte casse dei liberi professionisti.
In cambio dei contributi versati, il lavoratore acquista il diritto, nel momento in cui andrà in pensione di ricevere una prestazione finanziata con i contributi versati dai lavoratori.
Con un sistema a ripartizione, quindi si crea un patto tra generazioni. Il valore della pensione che si andrà a percepire sulla base dei contributi versati è definito dal regime di calcolo delle prestazioni vigente per il lavoratore.
Fino al 1995 il sistema di calcolo delle pensioni era di tipo retributivo o reddituale. Il valore della pensione era quindi calcolato sulla base di una retribuzione pensionabile calcolata come media dei redditi percepiti dal lavoratori negli ultimi anni di lavoro. Il numero di anni da considerare varia da categoria a categoria di lavoratore, ma in genere comprende gli ultimi 10 anni per i dipendenti.
Per neutralizzare gli effetti dell’inflazione, le retribuzioni che entrano nel calcolo della pensione vengono rivalutate con dei coefficienti Istat, articolati in due serie da utilizzare rispettivamente per il calcolo in ciascuna quota.
Calcolata la retribuzione pensionabile, la pensione è pari a una quota di tale importo, quota data dal numero di anni di anzianità contributiva per un rendimento annuo. Il rendimento annuo cambia in base alla tipologia di lavoratore. Per ogni anno di anzianità contributiva, il lavoratore dipendente del settore privato ha diritto a una quota di pensione pari al 2% della retribuzione pensionabile, fino a una determinata soglia (nel 2012 di circa € 44.000). Di conseguenza, con 30 anni spetta il 60%, con 35 anni il 70% e così via sino al tetto massimo dell’80% con 40 anni di anzianità. Sulle quote di reddito pensionabile oltre la soglia suddetta il rendimento scende progressivamente. Pertanto, su redditi particolarmente alti, la percentuale sarà inferiore al 2% per ogni anno di anzianità.
La pensione retributiva dipende quindi principalmente da due fattori: la retribuzione e gli anni di lavoro e contribuzione.
Nel 1995 la riforma conosciuta come riforma Dini ha modificato il sistema di calcolo delle pensioni, introducendo il sistema contributivo.
La pensione è quindi calcolata a partire dal montante contributivo, ossia la somma di tutti i contributi versati durante la vita lavorativa rivalutati in base alla crescita del Pil italiano.
Questo montante è moltiplicato per un numero, il coefficiente di trasformazione per ottenere l’importo della pensione. Il coefficiente di trasformazione è legato all’età del lavoratore al momento del pensionamento. Più il lavoratore è anziano più alto sarà il coefficiente e, quindi, la pensione erogata.
I fattori determinanti della pensione sono in questo caso i contributi versati e l’età al pensionamento.
Per capire al meglio il sistema contributivo immaginiamolo simile a un conto corrente dove il lavoratore versa i propri contributi periodo per periodo. I contributi quindi si rivalutano ogni anno in base al tasso di crescita del Pil e al pensionamento il lavoratore avrà accumulato un gruzzolo, il montante contributivo che sarà trasformato in rendita.
Ma si tratta di un sistema virtuale, ossia non si ha nessun accantonamento reale dei contributi dato che il sistema è e resta a ripartizione. Si tratta quindi solo di un sistema di calcolo.
Nuove scoperte scientifiche hanno permesso un allungamento della vita media e questa tendenza, seppure positiva, ha avuto conseguenze pesanti sull’ammontare delle uscite del sistema pensionistico: si vive di più, quindi le pensioni vengono pagate per una durata di tempo maggiore rispetto al passato. Nel 2005 avevamo circa tre soggetti tra i 25 e i 65 anni per ogni ultrasessantacinquenne. Se ottimisticamente interpretiamo i primi come coloro che lavorano e pagano i contributi e i secondi come coloro che percepiscono le pensioni, possiamo dire che approssimativamente la pensione di un pensionato di oggi viene finanziata con i contributi di tre lavoratori di oggi.
Questo rapporto andrà via via peggiorando negli anni finché un lavoratore dovrà finanziare più della metà della pensione di un futuro pensionato.
Allo stesso tempo si è ridotta la natalità. Meno bambini nascono, meno saranno in futuro i lavoratori e quindi minori saranno le entrate del sistema previdenziale.
Si è originato quindi uno squilibrio che, senza le riforme, si sarebbe ingrandito sempre di più nel futuro, ponendo a rischio la stabilità dell’intero sistema economico nazionale.
Come affrontare quindi lo squilibrio? In genere il gap è finanziato dallo Stato ricorrendo alle entrate fiscali e/o al debito pubblico, ma queste strade non sono più percorribili nel lungo periodo a causa delle loro conseguenze redistributive. Quando non è più possibile aumentare le tasse o ricorrere al debito pubblico, diventano ormai necessari interventi correttivi sul funzionamento del sistema pensionistico per ridurre lo squilibrio.
Come si riforma un sistema previdenziale?
Il legislatore può ridurre lo squilibrio previdenziale agendo su tre possibili leve:
Nel corso degli ultimi anni una lunga serie di riforme ha agito muovendo tutte le leve descritte.
Negli ultimi vent’anni si sono succeduti numerosi provvedimenti legislativi diretti a razionalizzare il sistema previdenziale sociale colpito da una grave crisi finanziaria, fonte di pesanti conseguenze sul debito pubblico.
La crisi finanziaria è stata determinata da diversi fattori:
tutti fenomeni che hanno prodotto nell’arco degli anni un aumento consistente delle prestazioni pensionistiche nel sistema pubblico.
Pertanto i provvedimenti legislativi hanno avuto l’obiettivo di raggiungere una stabilizzazione del rapporto tra spesa previdenziale e prodotto interno lordo salvaguardano nel contempo la prestazione pensionistica.
Diverse le riforme pensionistiche successive al decreto legislativo n. 503/92 (Legge Amato) che hanno ridisegnato il sistema portandolo a quello attuale:
La Riforma, superando quella del 1995, ha esteso a tutti i lavoratori il sistema contributivo per il calcolo della pensione ed ha innalzato per tutti i lavoratori (uomini e donne) l’età pensionabile.
In particolare, ha introdotto il retributivo misto per i lavoratori che al 31 dicembre 1995 avevano già maturato 18 anni di anzianità (si applica il contributivo per gli anni dopo il 2012).
I lavoratori privati, pubblici e autonomi sono divisi in tre gruppi in base all’anzianità maturata alla data del 31/12/1995:
Sistema di calcolo delle pensioni applicato sui periodi contributivi
Inizio lavoro |
Anzianità al 31/12/1995 |
Sistema applicato sulle anzianità contributive maturate nei periodi: |
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fino al 31/12/1995 |
dal 1/1/1996 al 31/12/2011 |
dal 1/1/2012 in poi |
||
Entro la fine del 1995 |
Più di 18 anni |
Retributivo |
Contributivo |
|
Meno di 18 anni |
Retributivo |
Contributivo |
||
Dal 1996 in poi |
Nessuna |
Contributivo |
Con la Riforma sono stati modificati anche i requisiti per accedere alla pensione di vecchiaia, per la quale bisogna soddisfare il requisito minimo di anzianità contributiva di 20 anni.
Inoltre, è stata innalzata l'età pensionabile, che è diventata di 67 anni.
Si ricorda che i requisiti anagrafici sono soggetti ad un programmato adeguamento in base agli incrementi della speranza di vita
La Riforma ha inoltre cancellato il sistema delle quote e ha introdotto la pensione anticipata, che consente di andare in pensione prima dell'età di vecchiaia solo se si superano (anni di contribuzione validi dal 2016): 41 anni e 10 mesi di contributi (per le donne) e 42 anni e 10 mesi (per gli uomini). I requisiti di anzianità contributiva non sono soggetti all’ adeguamento in base agli incrementi della speranza di vita , ma solo fino al 2026.
Vuoi conoscere la tua data di pensionamento e una stima dell'importo?
L'Inps ha messo a disposizione un servizio che permette di simulare quale sarà presumibilmente la pensione al termine dell'attività lavorativa. Il calcolo si basa sulla normativa in vigore e su tre elementi fondamentali: età, storia lavorativa e retribuzione/reddito.
Quota 100
Quota 100 è il nome della misura sperimentale, valida per il triennio 2019-2021, che consente l’accesso anticipato al pensionamento.
Per poter accedere alla Quota 100 è necessario avere un’età non inferiore a 62 anni eun’ anzianità contributiva non inferiore a 38 anni
Possono accedere a Quota 100 tutti i lavoratori iscritti alle gestioni Inps (dipendenti privati, pubblici e autonomi).
Chi accede alla pensione con Quota 100, però, non può svolgere un lavoro retribuito fino al raggiungimento dell’età per la pensione di vecchiaia (sono consentite solo le collaborazioni occasionali che non superano i 5.000 euro lordi annui).
Non possono accedere alla Quota 100 i lavoratori di Forze Armate, Polizia, Polizia penitenziaria, Vigili del fuoco e Guardia di finanza, chi gode di Isopensione o dei fondi di solidarietà per l’accompagnamento alla pensione.
Raggiunti i requisiti, è necessario aspettare un periodo di tempo prima di ricevere l’assegno pensionistico.
In particolare, i lavoratori del settore privato devono attendere 3 mesi e quelli del settore pubblico 6 mesi. Gli insegnanti devono aspettare l’inizio dell’anno scolastico.
Opzione donna
Uscita anticipata anche per le donne nate entro il 1960 con 35 anni di contributi al 31 dicembre 2018. Età 58 anni per le lavoratrici dipendenti e 59 per le autonome.
La pensione viene ricalcolata con il metodo contributivo.
Ape
Anticipo pensionistico introdotto dalla Legge di bilancio per il 2017. Si tratta di una novità previdenziale che permette ai lavoratori in possesso di determinati requisiti di poter accedere all’anticipo.
APE volontaria |
APE aziendale |
APE Sociale |
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30 anni di contributi se:
36 anni di contributi se: lavoratori che hanno svolto almeno per 6 anni un lavoro a rischio. |
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Indennità a carico dello Stato |
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In caso di esuberi o ristrutturazioni, l’azienda continuerà a versare in favore del lavoratore i contributi fino al raggiungimento dell’età della pensione |
Rita
La possibilità per chi è iscritto ad un Fondo pensione di poter richiedere la rendita integrativa temporanea, ossia un anticipo sulla propria pensione complementare. Sono necessari gli stessi requisiti per l’APE:
La Rita non è un prestito, che dovrà essere restituito, si tratta della possibilità per gli iscritti ad un Fondo pensione di poter usare il capitale accumulato per ottenere una rendita mensile prima del raggiungimento della pensione di vecchiaia, usufruendo di una tassazione agevolata.